Una babele di suoni

Leitmotiv, alla lettera melodia ricorrente. O meglio filo conduttore che associa musica a idee, luoghi e storie. Filo per tessere una trama unica di generi, culture e sonorità, che Giorgio – voce della band pugliese – sorridendo identifica “per latitudini”, e che ammalia, che spiazza chi l’ascolta.

Prima di avere occasione di vederli dal vivo non conoscevo bene i Leitmotiv. Ascoltando il primo album, alcuni brani come Balocchi o Le flute magique mi avevano sinceramente colpita, ma devo dire che è nella dimensione live che questo gruppo più di altri è in grado di stupire, coinvolgere, affascinare.

E allora ben venga la cornice raccolta tra i cuscini e le luci soffuse del Paradise Bistrot di Bologna, l’essere tanto vicini al palco che basta allungare una mano per toccarlo, che non servono microfoni per scherzare col pubblico.

E la semplicità con cui dicono la loro nella nostra chiacchierata.

Allora, ragazzi, parlateci un po’ del vostro progetto… come nascono i Leitmotiv?

I Leitmotiv nascono più o meno 10 anni fa e nella formazione originaria eravamo in cinque.

[ndr: Giorgio Consoli (voce), Giovanni Sileno (chitarra e piano), che ora non è più nel gruppo, Giuseppe Soloperto (basso), Dino Semeraro (batteria) e Natty Lomartire (chitarra)]

Il primo disco, L’audace bianco sporca il resto, vede la luce nel 2008, prodotto in collaborazione con l’etichetta bolognese La Fabbrica. Ora stiamo presentando in tour il nostro secondo disco, Psychobabele, e, contemporaneamente, stiamo lavorando al nostro prossimo album, che vorremmo far uscire entro l’anno…

Un periodo impegnativo, insomma. Non vi fermate mai, eh?

In effetti no. Quando abbiamo portato in tour L’Audace bianco abbiamo fatto più di novanta tappe in un anno, in Italia, ma anche all’estero. Come al Monkey Week Festival di Siviglia o alla Biennale dei Giovani Artisti dell’Europa e del Mediterraneo in Macedonia… Ci piace il contatto con il pubblico, farci conoscere suonando in giro per le città, parlare con la gente…

[Giorgio sorride e mi fa cenno alzando il bicchiere]

Prendi noi, ad esempio. Non ci conoscevi, un tuo amico ti ha fatto ascoltare il nostro disco, portato al nostro concerto [ndr: Grazie, Fra!] e ora siamo qui a parlare di musica, a confrontare le nostre esperienze… Trovo bellissimo tutto questo.

… e nonostante tour così impegnativi riuscite anche a trovare il tempo per scrivere la vostra musica?

Beh, anche se la nostra base operativa resta Taranto, dove abbiamo fondato l’etichetta indipendente che ha prodotto Psychobabele, la Pelagonia dischi, il processo creativo non si arresta quando siamo in giro.

Anzi. Alcuni pezzi sono nati nel furgone o nel camerino durante il tour de L’Audace bianco, come Napoli Minor o Roma Beirut.

[Ridiamo]

Come nasce una vostra canzone… che sia in un furgone o in una sala prove?

Non c’è un vero e proprio schema, spesso nascono prima il testo e la melodia, che finora ho scritto io insieme a Giovanni – risponde Giorgio – mentre la musica viene creata dal resto del gruppo in sala prove. Ma non è sempre così. A volte la vena creativa dà semplicemente i suoi frutti dopo ore e ore che suoniamo insieme…

Alcuni dei vostri pezzi sono scritti in francese, come Le bonheur e Le flute magique. Come mai questa scelta?

È merito di Giovanni, il ragazzo che ora non fa più parte del gruppo. Ha vissuto in Francia, da qui la scelta della lingua. Che comunque è molto musicale. Ma è un’eccezione, i nostri pezzi sono scritti in italiano.

Non trovo sensato che i gruppi italiani scrivano in inglese… L’italiano la nostra lingua, la lingua della nostra terra, è musicale, ci consente di esprimere quello che sentiamo con molteplici sfumature…

Sono d’accordo con te, è sicuramente una lingua che offre moltissime possibilità. Ma nel vostro caso c’è anche un’altra componente importante, la teatralità…

Credo che in parte dipenda dal fatto che in un certo senso è il mio mestiere – risponde Giorgio ridendo – sono un attore, ho studiato al DAMS, qui a Bologna. Del resto la teatralità durante il live rafforza quella che è l’espressività della musica e delle parole…

Certo, come la musica così il teatro è un potente mezzo espressivo. Tra l’altro diversi dei vostri testi sono, per così dire, piuttosto “impegnati”…

Il teatro, la musica sono spinti dall’esigenza di esprimere la propria realtà. E la nostra realtà è fatta di storie d’amore, dal legame forte con la nostra terra e con la società. La cosa importante per noi è non astenersi mai dall’esprimerci, non essere ignavi. Anche, a volte, essere provocatori o polemici nei confronti della realtà che ci circonda.

Potersi esprimere liberamente attraverso la musica, sentirsi apprezzati per questa, sorprendere con la propria arte comporta sicuramente un rischio ma ci restituisce al tempo stesso un’emozione impagabile, che una cover band non potrà mai provare.

Assolutamente… È comunque difficile inquadrarvi in un genere, posto che abbia senso voler dare un’etichetta a tutti i costi…

Il nostro progetto ha tante radici che s’intersecano nei diversi generi musicali, il folk, il rock, per citarne alcuni. Se vuoi posso dirti cosa NON facciamo. Non facciamo hip hop, non facciamo dance, non facciamo house…

[Ridiamo]

Anche l’oriente ha sulla nostra musica un influsso fortissimo. Per questo più che per generi preferisco ragionare per “latitudini”…

E se ora vi chiedessi quali sono i musicisti che più vi hanno influenzato?

… verrebbe fuori anche in questo caso un bel mix. Dalla musica orientale, appunto, ad esempio quella dei Tinariwen, a quella che è stata la produzione occidentale “storica”: il rock’n’roll, dai Beatles ai Guns’n’ Roses, la musica italiana: i 24 grana, gli Almamegretta, De Andrè, Modugno, e poi i Nirvana e tutta la scena grunge di Seattle… la musica fatta dalle città. Per noi le città suonano. Suona Seattle, suona Berlino, suona Bologna.

Come giudicate la scena musicale attuale, in Italia? Gli spazi concessi alla musica in base alla vostra esperienza?

Sicuramente oggi è difficile emergere, farsi conoscere, farsi apprezzare. D’altra parte, per quanto faticoso, ci rende orgogliosi il fatto di aver creato tutto da soli, di aver fatto tutti i passi “in proprio”. Il web, Internet, Youtube e altri canali contano ancora poco. Quello che fa da traino per il successo di un gruppo sono ancora i mezzi tradizionali, la radio, la televisione.

Personalmente, ad esempio, abbiamo avuto un buon ritorno quando L’Audace bianco è stato Disco della settimana su Caterpillar, a Rai Radio 2… Oppure pensa al successo dei Nobraino dopo il passaggio a Parla con me.

Il problema è che la figura del musicista in Italia non esiste, è percepito come un hobby, non come un mestiere, mentre noi vorremmo vivere di musica. È per questo che abbiamo creato anche la Pelagonia…

Bisogna avere pazienza, suonare tanto e avere la fortuna di essere notati dalle persone giuste, che abbiano la sensibilità per apprezzare la nostra musica e la voglia di credere nel nostro progetto e farlo conoscere… è questo che dovrebbe fare chi si occupa di musica indipendente, anche se i soldi sono pochi…

Insomma, concludiamo con una nota di speranza… c’è un ultimo messaggio che volete dare ai nostri lettori?

Andate ai concerti, ascoltate la musica dal vivo, cercate il contatto con i musicisti… Non restate chiusi nelle vostre camere o davanti a un computer!