Steve Gadd Band, il live al Paradiso Jazz
Parlando di lui, Chick Corea disse: “Tutti vorrebbero suonare come Gadd, perché suona in maniera perfetta”. Acclamato come uno dei batteristi più influenti di tutti i tempi – in pochi possono vantare collaborazioni con star del calibro di James Taylor, Eric Clapton, Paul McCartney, Peter Gabriel, Frank Sinatra e Ray Charles – Steve Gadd non ha certo bisogno di presentazioni.
In una sala gremita di pubblico, il batterista è salito sul palco del Paradiso Jazz festival insieme alla sua Steve Gadd Band, un ensemble di musicisti d’eccezione, con cui si accompagna ormai da qualche anno. La formazione include Michael Landau alla chitarra (già chitarrista di Michael Bolton, Jennifer Lopez, Eros Ramazzotti, Andrea Bocelli e Vasco Rossi), Jimmy Johnson al basso, Kevin Hays al piano e Walt Fowler, lo storico musicista di Frank Zappa, alla tromba e al flicorno.
Occasione del tour è la presentazione dell’ultimo lavoro, intitolato semplicemente “Steve Gadd Band”, uscito il 23 marzo scorso per l’etichetta BFM Jazz. Il disco arriva dopo altri tre album: “Gadditude” (2013), “70 Strong” (2015) e “Way Back Home – Live from Rochester, NY” (2016), che è valso alla band una nomination ai Grammy Awards 2017 come Best Contemporary Instrumental Album.
Aprono il concerto due pezzi tratti dal nuovo disco: il primo è la suggestiva ballad “Where’s Earth” (scritta da Landau, Hays e dal figlio di Gadd, Duke), il secondo è un brano composto da Johnson insieme a Steve, l’irresistibile, orecchiabile funky “I know, but tell me again”. Fin dalle prime note è evidente che nel disco, come nel live, c’è spazio per tutti: ogni musicista ha la possibilità di esprimersi e mostrare il proprio talento.
Si prosegue con un paio di pezzi tratti dal primo disco: “Cavaliero”, brano dal sapore Tex-Mex, scandito dai colpi di rullante di Gadd, e “Green Foam”, splendido blues, in cui si susseguono i rimarchevoli soli di Hays, Landau e Fowler. Colpisce l’eclettismo di tutti i musicisti, la loro capacità di spaziare con grazia e naturalezza da un genere all’altro, colpisce l’intesa e la coesione della band, la perfetta sincronia degli strumenti – sempre accompagnati dalla precisione metronomica della batteria – l’eleganza e la cura dei suoni.
Dopo questa parentesi, il concerto continua serrato per oltre un’ora. Si torna ai brani del nuovo album: “One point five”, “Auckland by Numbers” e “Rat Race” (forse il pezzo più funky del disco, scritto da Landau e Gadd), “Spring Song”, composto e cantato da Hays, e il trascinante “Foameopathy”. Siamo alla fine e il pubblico è giustamente entusiasta. Il live si chiude con uno straordinario omaggio a Keith Jarrett (“The Windup”) e uno a Bob Dylan, “Watch The River Flow”, interpretato da Kevin Hays nel bis.
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