Slow Release, il nuovo album di Elisabeth Cutler
Elisabeth Cutler ha un sorriso gentile e deciso al tempo stesso.
Arrivo trafelata al Bar del Neurone di Bologna per l’intervista e la trovo ancora a tavola con il suo percussionista, Massimiliano di Loreto, a gustare piatti nostrani e un bicchiere di vino rosso.
Elisabeth è nata Boston, è cresciuta musicalmente a Nashville, e alla fine si è innamorata dell’Italia.
Tanto da registrarci il suo quinto album, Slow release, un incantevole scrigno di melodie folk-acustiche, che si apre anche all’improvvisazione jazz.
Mi siedo davanti a lei e accendo il registratore. Continua a sorridere e mi sento subito a mio agio, capisco che ha voglia di parlare con rilassatezza come a un’amica ma soprattutto parlare di musica con l’entusiasmo di chi suona da tanti anni ma non smette di sorprendersi.
Cosa ci racconta questo album della vita di Elisabeth Cutler? E cosa è cambiato, se è cambiato, nella sua musica?
Nei miei dischi mi piace sempre raccontare una storia, un periodo della mia vita. Quest’ultimo si chiama Slow Release, ‘Rilascio Lento’, il tema è… lasciarsi alle spalle qualcosa. Può trattarsi di oggetti, vizi, sentimenti… nel mio caso amori, uomini! C’è infatti una storia d’amore, in questo disco.
E’ stata una bella esperienza realizzarlo, devo ringraziare anche il mio produttore Filippo de Laura, che ha saputo interpretare molto bene il mio genere, le sensazioni della mia musica. Dopo quattro dischi a Nashville, Tennesee, per questo mio quinto avevo da subito le idee più chiare, mi sono sentita molto più ispirata e indipendente, forte dell’esperienza. Abbiamo registrato per otto settimane, ed è stato molto divertente.
C’è una frase di Deep in Blue che mi è piaciuta molto : “A woman is free – to do as she pleases here is no reason to explain her feelings, her moods and mysteries.” : è da qui che nascono le tue canzoni? Dalla volontà di esprimere qualcosa di difficile da spiegare diversamente: l’interiorità, le emozioni?
Quando scrivo un brano provo a stare dentro un’emozione. Come in Deep in Blue…descrive un momento, quello in cui ti trovi sola con te stessa e ti senti bene, forse solo un po’ malinconica. Ma penso che la malinconia non sia un sentimento negativo, non vuol dire essere depressi.
Poi c’è la musica, il blues: il blues in particolare è come una medicina, quando lo ascolti, e lo suoni, ti senti più rilassata, finalmente in pace.
C’è un brano di questo disco a cui sei più affezionata?
Forse la prima canzone dell’album, ‘Missing love’. Racconta la storia di quando sono arrivata a Roma e ho intrapreso una relazione. È stata una storia tormentata, un continuo provare, interrompere e riprovare.
Il titolo gioca un po’ con le parole…missing love, mancanza d’amore, amore perso. E’ il primo brano che ho scritto per il disco e ne è il filo conduttore.
Dai palchi americani all’Italia, da Nashville a Roma, Bologna: cosa ci puoi dire della scena musicale indipendente americana a confronto con quella italiana?
Personalmente, dopo tanti anni di lavoro a Nashville, ho imparato bene come lanciare un disco in modo professionale e cercare occasioni per farmi ascoltare. Però devo dire che adesso il music business è diventato molto più complicato. Vedo l’America come un territorio dove tutto ruota intorno ai soldi e al successo. Io ho trovato il mio significato personale di successo: per me è scrivere un nuovo bel brano, interpretarlo, avere una lunga carriera, continuare a fare musica. Il mio percorso di crescita come artista mi ha portato anche a questa consapevolezza.
Per quanto riguarda la musica in Italia: forse è più difficile trovare dei posti dove suonare ma poi, a pensarci bene….non è anche questo il bello di fare musica? Intendo, cercare spazi, trovarli e metterci un palco, scovare soluzioni prima impensate. Dà più soddisfazione trovare qualcosa che sembrava nascosto, no?
Mi sembra che in Italia ci siano tanti piccoli posti dove suonare, e che il pubblico sia molto curioso e interessato alla musica americana.
(Elisabeth passa dall’inglese all’italiano con disinvoltura e anche io quasi non mi accorgo di fare le domande da padrona di casa e i commenti con ‘yes, so you mean that…’. )
Ti chiamano a duettare insieme a un grande nome della storia della musica…chi vorresti che fosse? Nel presente e nel passato…
Il mio mito di sempre è Joni Mitchell, ma potrei citare tanti bravissimi cantautori. Ho sempre grande rispetto per chi scrive i testi, anche senza interpretarli in prima persona.
Nel presente?
Ultimamente sono stata al concerto di Anthony and the Johsons, mi sono piaciuti molto. Ascolto anche KT Kunstall, è un’ottima cantautrice.
Che progetti hai per il futuro, nel breve e nel lungo periodo?
Sto lavorando per alcuni concerti in Germania, è un paese che adora la musica americana. Poi spero di registrare il prossimo album a fine 2012, sempre in Italia con il mio nuovo produttore Filippo. Vorrei continuare a esplorare i suoni elettronici; Massimiliano, il mio percussionista, sta già usando delle percussioni elettroniche. Mi piacerebbe sperimentare il mix tra elettronica e acustica.
Alla fine, una domanda sull’inizio. Come è nata la tua passione per la musica?
Il primo amore è stato la chitarra (Elisabeth suona una bellissima Parker gialla, ndr), ero una teenager. Il canto è arrivato dopo, è stato inevitabile. Prima scrivevo i testi ispirandomi a quelli di altri, poi ho cominciato a creare le mie poesie in musica.
Ho studiato anche canto indiano a Roma, è un bellissimo metodo per rilassarsi attraverso le melodie.
Prossimo live di Elisabeth Cutler:
9 novembre, teatro Santa Chiara, Roma. Ore 21.
In trio con:
Filippo De Laura (chapman stick)
Max Di Loreto (batteria e percussioni) |
Il concerto di Elisabeth Cutler si inserisce nella rassegna ‘Il rifugio acustico’, a cura de ‘La Fabbrica’, etichetta indipendente di Bologna.