Le Cose Furiose

Ascoltando la seconda omonima fatica di Le Cose Furiose – dopo il primo ep Intorno al mondo con, pubblicato lo scorso autunno – ci si sente come risucchiati in un vortice temporale: Lucio Battisti & Celentano che escono gracchiando dall’autoradio della Cinquecento, i manifesti del PCI e DC strappati dai muri delle città, un gruppo di ragazzi con la camicia infilata nei pantaloni fuori da una discoteca della riviera. Un salto indietro in quell’Italietta anni ’60 che ha appena cominciato a farsi corteggiare dalla musica rock d’oltremanica.
Ma in un’epoca come questa, che essenzialmente vive di revivals, bisogna fare attenzione a non scadere nel turismo culturale: senza commistioni la musica muore e questo Le Cose Furiose sembrano saperlo bene: il sound del trio scavalca i confini spazio temporali dell’Italia del boom economico accompagnandoci per mano in un viaggio tra il beat inglese dei primi anni ’60 fino al surf delle spiagge californiane, il tutto immerso però in un contesto dark e dall’inquietante eco new wave.  
Il disco si apre con il cupo riff di Idea balorda: chitarre solitarie e distanti si intrecciano accompagnano una voce che si strascica sotto il peso di una r moscia estremamente radical chic. Toyota Corolla stupisce per il suo andamento ritmico mod così rabbioso mentre la litania di Niente ci riporta alle atmosfere di apertura del disco. Gino Paoli – con il suo “il ritornello fa così, il ritornello è questo qua” – ci ricorda con graffiante ironia che le canzoni pop possono tranquillamente non dire nulla anche se si canta dal primo all’ultimo secondo.
San Francisco, Solo Andata ci riporta nell’assolata California da cui il viaggio de Le Cose Furiose è partito, ma nulla è più lo stesso, tutto lascia trasparire una nota inquietante: la chitarra stonata, lo sghembo standard jazz iniziale, la voce come sofferente e distorta ci avvisano che il progetto di questi ragazzi non si limita alla reduplicazione e alla sintesi di qualcosa che aveva solo bisogno di una rispolverata per finire ancora una volta sui banchi dei negozi con un prezzo da roba alla moda. Al contrario la band rielabora tradizioni curiosamente distanti per offrirci un prodotto nuovo: le atmosfere di riferimento – così solari – trovano nuova vita in un songwriting corrosivo, quasi cinico, e in un sound scuro e inquietante. Nonostante poi non si ricada quasi mai nel cliché di strofa&ritornello, ogni pezzo si rivela veramente cantabile, orecchiabile: non certo canzoni da spiaggia come quelle a cui Le Cose Furiose si sono ispirati, ma provare per credere. Unica pecca del prodotto forse la scarsa compattezza dei suoni: la fedeltà alle sonorità surf unita alla sfumatura new wave rischia sul serio di rendere i brani freddi e distanti dall’orecchio dell’ascoltatore.
Di certo però il secondo lavoro di questa band ci ricorda come in Italia esista ancora una scena indipendente che tende l’orecchio verso l’esterno senza trascurare le proprie radici culturali, senza scimmiottare stereotipi imposti da altrove come archetipi di qualità.
Restiamo – speranzosi – in attesa degli sviluppi.