Intervista a Bruno Bavota, il musicista che ha conquistato Sorrentino e la Apple
Il suo brano “If Only My Heart Were Wide Like the Sea” ha conquistato il regista Paolo Sorrentino, tanto da inserirlo nella serie tv “The Young Pope”, con Jude Law e Diane Keaton. Un’altra canzone dello stesso disco, “Passengers” ha incantato la Apple, che ha deciso di utilizzarla in una campagna pubblicitaria. E il suo brano più ascoltato su Spotify, “La Luce nel Cuore”, a oggi ha superato i 25 milioni di streaming.
Stiamo parlando di Bruno Bavota, compositore e polistrumentista napoletano. Collocabile nella scena che viene definita “modern-classic”, o “pop da camera”, sulla scia di Einaudi e di altri talentuosi musicisti, come Dustin O’Halloran e Nils Frahm. Seppur con uno stile tutto suo.
Ho conosciuto Bruno ascoltando il suo ultimo lavoro “RE_CORDIS”, uscito il 18 gennaio scorso per l’etichetta Temporary Residence (distribuzione Goodfellas), in formato digitale e vinile.
Confesso di essere stata attratta prima di tutto dal titolo, che richiama il termine inglese per “registrazione”, ma che è in realtà una parola latina, composta dal prefisso “RE” e da “CORDIS”, il cuore o la sede della memoria. Unendo liberamente le due parole, il senso è all’incirca: “ripassare dalle parti del cuore”.
E, in un certo modo, di un ripassare, di un tornare si tratta, dal momento che il disco è una raccolta dei brani più noti di Bruno Bavota, suonati però dal vivo, in presa diretta, con chitarra e un ensemble di archi, ottenendo un effetto ipnotico e sognante.
Da lì, allora, sono tornata indietro, scoprendo con piacere gli altri dischi di Bruno (“Il Pozzo d’Amor”, “La Casa sulla Luna”, “The Secret of the Sea”, “Mediterraneo”) e apprezzando il suo percorso di crescita, di sperimentazione musicale verso uno stile più ricco e complesso. Fino a “Out of the Blue”, in cui il pianoforte rimane strumento guida, ma interagisce con archi, chitarre ed elementi di elettronica.
Selezionando con cura pedali di costruzione artigianale, Bruno passa con disinvoltura dal neo-classico all’ambient, dall’elettronica fino alla chamber-folk. E, grazie all’utilizzo dei loop di chitarra e pianoforte, riesce a creare melodie che si inseguono, che incantano l’ascoltatore e lo trascinano in un turbinio di emozioni, profonde e intime.
La musica di Bruno ci ha colpito così tanto, che non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione di rivolgergli qualche domanda.
Partiamo dal principio. Chi è Bruno Bavota? Com’è iniziata la tua carriera di musicista? So che ti sei avvicinato alla musica suonando la chitarra acustica…
Prima di iniziare la mia carriera di musicista sono stato, da sempre, molto affamato di musica. Ho ascoltato tantissimi album che hanno formato la mia propensione verso la musica e la mia sensibilità. Ho iniziato con la chitarra acustica, per diletto, a 24 anni. Dopo la laurea magistrale in un ambito completamente diverso, ho iniziato ad approcciarmi al pianoforte. Tutto è iniziato nel 2010 con la pubblicazione del primo album “Il Pozzo d’Amor” ovviamente autoprodotto. Credo la mia carriera vera e propria sia iniziata tre anni più tardi (2013) con la pubblicazione del mio secondo album “La Casa sulla Luna” uscito per la Lizard Records. Quel disco ebbe un bel riscontro, soprattutto all’estero e da lì ho capito che la mia musica poteva avere una sua strada.
Da “Il Pozzo d’Amor” fino a “Out of the Blue”, com’è cambiata la tua musica? Voglio dire, sei passato dal piano solo all’interazione con strumenti diversi: archi, chitarre… ma hai anche sperimentato con l’elettronica, la loop station.
È stato un percorso graduale. Il primo e il secondo album (“Il Pozzo d’Amor” e “La Casa sulla Luna”) sono incentrati principalmente sul pianoforte solo e sulla sua interazione con archi, soprattutto violino e violoncello. È dal terzo disco, “The Secret of the Sea”, che è iniziato il desiderio e la voglia di espandere la mia tavolozza sonora, inserendo sia la chitarra acustica che la chitarra elettrica. Avvertivo la necessità di allargare i miei orizzonti, cercando di non ripetermi, trovando nuovi modi per espandere delle sonorità che avevo nella mia testa. “Out of the Blue” è stato sicuramente il disco che ha segnato ancor di più questo cambiamento, cercando di modificare il suono del pianoforte, in tempo reale, con l’uso di processori e pedali effetto.
Se oggi dovessi sintetizzare la tua musica in un solo aggettivo, quale sceglieresti?
Sincera.
Credo che la musica sia ricerca continua, per cui ti chiedo: in che direzioni pensi stia evolvendo il tuo suono? C’è qualcosa che ti piacerebbe sperimentare e che ancora non hai avuto occasione di fare?
Negli ultimi due anni ho sperimentato davvero tanto, allargando in maniera esponenziale il discorso musicale iniziato con “Out of the Blue”. Posso dirvi che ho scoperto il dark side della mia musica e il prossimo autunno succederà qualcosa 🙂
Parliamo di “RE_CORDIS”. Quest’ultimo lavoro è una raccolta dei tuoi brani più famosi, registrati in presa diretta. Come ti è venuta l’idea di registrare un disco live? E com’è stata per te questa esperienza?
È stata un’esperienza bellissima, soprattutto risuonare brani di molti anni fa con una maturità e una consapevolezza degli strumenti completamente diversa. L’idea di registrare un disco live è nata dalla voglia di far entrare in contatto le persone in maniera più profonda con la mia musica. Nel disco si possono percepire il rumore dei martelletti, lo scricchiolio del seggiolino, i miei movimenti fisici e il suono dei pedali effetti. L’ascoltatore è come se fosse seduto accanto a me durante le registrazioni.
In generale qual è il tuo approccio alla composizione? Come nascono i tuoi brani e quanto conta per te l’improvvisazione?
La maggior parte dei miei brani nasce in maniera istintiva, l’improvvisazione è fondamentale anche perché è difficile che durante le mie giornate abbia un tema ben definito in testa. Ci sono alcuni giorni, più di altri, dove le emozioni sono più forti e definite…è quello il momento in cui può succedere qualcosa sedendomi al pianoforte.
Dopo la pubblicazione di “Out of the Blue” sei stato in tour per quasi un anno, ti sei fatto conoscere esibendoti in festival e concerti. Vorrei sapere come vivi l’esperienza del live rispetto allo studio. Che cosa ti dà il rapporto con il pubblico?
I concerti li considero sempre la parte fondamentale del mio lavoro. Suonare dal vivo è un’emoziona unica e ogni volta diversa. Nonostante sia ormai abituato a suonare dal vivo, con il pubblico si crea uno scambio sincero di emozioni e questa è la cosa più bella che la musica può creare.
La tua è (e ne siamo felici) una storia a lieto fine. “If Only My Heart Were Wide Like the Sea” è stato inserito da Sorrentino nella serie tv The Young Pope e “Passengers” è stato usato dalla Apple. Come stai vivendo questo successo?
Resto sempre con i piedi ben piantati a terra, continuo a lavorare con umiltà e costanza senza fermarmi mai.
Sulla base della tua esperienza come giudichi la scena musicale attuale per i musicisti emergenti? Quali sono le difficoltà?
Credo che in Italia le difficoltà siano enormi, con il rischio di rimanere per sempre musicisti emergenti. Per fare musica, soprattutto se in una band, i sacrifici sono enormi: l’acquisto degli strumenti, le prove, le registrazioni in studio e tutto ciò che serve per iniziare. Il pubblico è diventato purtroppo poco curioso, colpa anche dell’ascolto che adesso è molto più fugace e poco riflessivo. All’estero il circuito musica funziona decisamente meglio.
C’è qualcosa che i musicisti agli inizi dovrebbero, o non dovrebbero, fare? Hai qualche consiglio da dare (sicuramente gradito) a chi vuole far conoscere la propria musica?
Una cosa fondamentale nella musica, a tutti i livelli, credo sia l’umiltà. All’inizio soprattutto è necessario avere ben chiare le aspettative, molti tendono a pensare di avere tra le mani il disco della vita e di essere già arrivati. In tutti gli ambiti lavorativi, e la musica non fa eccezione, c’è bisogno di fare sacrifici e darsi da fare giorno per giorno, riconoscendo il talento e avendone cura quotidianamente.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro, i tuoi sogni nel cassetto?
Molti dei sogni che avevo nel cassetto li ho già realizzati! Lavorerò sempre sodo per realizzarne altri 🙂
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