I 12401 km dei Bohème Fortuna
Arrivo un po’ in ritardo. Qualche ora fa ho sentito al telefono Filippo, il cantante dei Bohème Fortuna, gruppo 100% rock e 100% italiano, nato tra le colline dell’Umbria: ci siamo dati appuntamento per l’intervista alla Festa della Facoltà di Architettura, sotto le mura di Ferrara. Suoniamo là, mi ha detto, è il primo live del nostro primo album, “12401 km”.
Arrivo un po’ in ritardo ma non così tanto da perdermi il sound check. L’atmosfera è piacevolmente hippie e sul prato cominciano a radunarsi studenti, ex studenti o chi studente non lo è mai stato, birra in una mano, panino con salsiccia a prezzo proletario dall’altra. Ignoro la mia fame e punto dritto al palco dove corde di chitarra e basso cominciano a scaldarsi. Quello che dovrebbe essere Filippo ha un cappello in testa e sta parlando con il fonico. Appena si gira e sembra stia guardando nella mia direzione gli faccio un cenno di saluto. Flavia?, chiede avvicinandosi e sporgendosi dal palco. Sì ciao, ce l’ho fatta, dico. Bene, tra poco cominciamo. Alla fine facciamo due chiacchiere, davanti a una birra, ok? Ok, sorrido.
A fine concerto mi faccio già trovare con due birre in mano. Dovrei anche mangiare qualcosa, penso. Filippo mi raggiunge e andiamo a sederci su una panchina un po’ lontana dal palco.
-Allora, ti siamo piaciuti?-, dice, ringraziandomi per la birra e bevendone metà in un sorso.
– Molto, davvero. Pieni di energia, e tu hai una bella voce grintosa. Vero rock ‘n roll-
– Bene, allora sono già contento, l’intervista è finita!-
Ridiamo.
-Ho preparato dieci domande-, dico, impugnando penna e taccuino.
-Dieci?? Non mi hanno mai fatto dieci domande, ma nemmeno cinque credo… ci vorranno almeno dieci birre-
-Posso reggerle-, dico, ovviamente mentendo.
-Vai allora-
Voilà la prima. Ti ho sentito cantare. Ti ho visto suonare la chitarra. So che scrivi i testi di tutte le canzoni. Quale passione è nata per prima?
Prima è arrivata la chitarra, poi la voce, infine i testi. Ho cominciato con la chitarra a 11 anni circa ma credo di averla abbandonata dopo due giorni. Sai, a dispetto di quello che si pensa il primo approccio alla chitarra è complicato… le prime note sono una conquista durissima… poi, una volta conquistate, è tutto in discesa. Insomma, dopo un inizio non incoraggiante ho ripreso la chitarra a 12 anni e da allora non l’ho abbandonata, ma sempre da autodidatta.
A cantare ho cominciato un po’ per caso. Facevo parte di un gruppo in cui avrei dovuto solo suonare la chitarra, facevamo cover, soprattutto dei Beatles. Poi una volta il bassista, che faceva anche il cantante, si trovò in difficoltà con una cover dei Nirvana perché non sapeva urlare… a me invece la voce per urlare non è mai mancata, ci ho provato… e così mi sono messo a fare anche il cantante!
Scrivere i testi è stato un completamento naturale, è come unire mano a mano più ingredienti. All’inizio pensi di non saper fare nessuna delle tre cose, suonare, cantare o scrivere… ma poi, se ci metti il giusto impegno, ti accorgi che riesci a fare tutto, è naturale. In fondo una canzone è un battito del cuore e se lo senti forte lo segui, ti butti.
Questo vostro primo disco si intitola “12401 km”. Chi li ha fatti tutti questi chilometri?
Sono chilometri simbolici, rappresentano il percorso che ognuno deve fare per raggiungere un obiettivo, un traguardo. Sono una sfida personale, qualcosa da affrontare o conquistare; sono il tempo che separa l’inizio di un’avventura e la sua fine o una tappa del cammino.
Ho voluto giocare proprio sull’enigmaticità del titolo, in modo che ognuno possa fare sua questa distanza, pensarla reale o non reale, immaginarsi tante possibili partenze e tanti possibili arrivi, separati da quei 12401 chilometri.
Siamo partiti dal titolo…ora presentaci brevemente l’album. Qual è la storia di questo progetto?
L’album raccoglie frammenti di vita, a volte personale, a volte legati alla situazione sociale. E’ un farsi domande su noi stessi e sul mondo che ci circonda.
Ci sono canzoni arrabbiate e canzoni d’amore, che a volte convergono. Non siamo partiti con l’idea di realizzare un concept album ma alla fine abbiamo scoperto un filo conduttore, una sinergia, un dialogo tra le canzoni. Temi che ricorrono in maniera forte, che possono sembrare banali ma in fondo sono quelli universali che fanno girare il mondo: l’amore, l’odio, l’amicizia.
L’album tra l’altro abbraccia un lungo periodo di tempo perché contiene anche canzoni che risalgono a quattro anni fa. Ma abbiamo deciso di includerle insieme a quelle nuove per darci continuità e ricordo.
C’è un brano che senti particolarmente tuo?
Sicuramente è “Alba al tramonto”, è il brano più personale, fa riferimento a un momento molto difficile della mia vita, in seguito al quale ho deciso di riprendere a suonare dopo una lunga pausa. Quindi è una canzone di morte e rinascita, una scintilla di emozione dopo un periodo buio, alba e tramonto insieme, appunto.
Proprio perché ancorata così alla mia vita, l’ho pensata innanzitutto per me, senza freni alla stesura e senza preoccuparmi che fosse troppo lunga. Normalmente per una canzone devi fare scelte ben precise e a volte il segreto è togliere, accorciare, per non appesantire e non compromettere la voglia di riascoltare. Qui non c’ho pensato, è la mia canzone. O la odi o la ami.
Riascoltando l’album a registrazione conclusa, c’è qualcosa che cambieresti?
Guarda, è stata la nostra prima vera registrazione.. quindi l’impatto è stato abbastanza sconvolgente, tipo “cavolo, siamo veramente noi?”. Non cambierei nulla, l’album è stato il traguardo di un percorso molto lungo in cui abbiamo curato le canzoni in ogni minimo dettaglio. Eravamo già convinti del nostro lavoro e sentirci registrati in modo così professionale ci ha resi ancora più energici e soddisfatti del risultato.
Come nasce in generale un tuo pezzo? Arriva prima la melodia o le parole, da cosa ti fai ispirare?
Una canzone per me nasce sempre dalla chitarra acustica e dalla voce. Faccio una ricerca su un giro di chitarra, un riff, delle note… poi inizio a improvvisare una melodia. E già qui possono comparire le prime parole, in italiano.
Ma prima di tutto bisogna trovare una melodia: le parole arrivano dopo, sono plasmate sui suoni e li rafforzano.
Cosa c’è nel futuro dei Bohème Fortuna?
Suonare, suonare, suonare. Farci conoscere, incontrare gente che ci dica che l’album gli ha regalato emozioni. La vera sfida ora non è pensare già a qualcosa di nuovo ma dare un futuro al presente. Cercare stimoli e riscontro tra le persone. Vorrei che qualcuno mi dicesse “la vostra musica è diventata la colonna sonora della mia giornata”. E’ il sogno di ogni gruppo. E poi perché no, cercare una casa discografica che ci aiuti nella distribuzione dell’album, nell’organizzazione di un tour.
Come giudichi la scena musicale italiana, dal punto di vista di una band come la vostra che comincia a farsi strada?
Credo che fare musica in Italia sia come fare beneficienza per l’anima: devi autoprodurti, investire tempo, denaro e km in cambio di scarsa attenzione e locali non adatti. Ormai conviene prendere un dj … che è completamente diverso dal fare vera musica, senza nulla togliere ai dj.
La musica deve avere un sapore artigianale: noi per esempio abbiamo registrato quasi in presa diretta per privilegiare la naturalezza e la spontaneità. Oggi sembra che tutti siano spaventati dal suonare dal vivo e invece è proprio questo il bello del fare il musicista: emozionare il pubblico nell’immediatezza del momento, coinvolgere, trasmettere vere sensazioni.
Vi chiamano a fare da gruppo spalla a una band famosa. Quale vorresti che fosse? Nel passato e nel presente
Il sogno da ragazzino era la vecchia formazione dei Guns. Un po’ anche perché da piccolo hai un’idea idilliaca del fare gruppo spalla, tra leggende dei backstage e situazioni mitizzate.
Il nostro è rock italiano con influenze grunge e un cantato energico e urlato: nel presente mi piacerebbe suonare o con gruppi completamente diversi o gruppi che condividono questo nostro stile come Afterhours, Marlene, Verdena. Chissà…
Con l’ultima domanda restiamo nella storia: molti gruppi hanno aneddoti curiosi alla base della loro formazione. Voi ne avete uno?
Di aneddoti ne ho quanti ne vuoi, ma non legati alla formazione…
Raccontane uno…
Ecco, erano gli inizi e suonavamo a una festa all’aperto…la musica aveva un volume assordante e io stavo letteralmente urlando, a occhi chiusi. A un certo punto li riapro e mi trovo davanti una signora sulla settantina con il pigiama e la vestaglia che cercava di dirmi qualcosa, probabilmente si lamentava per il frastuono, ma io non la sentivo. Insomma ci urlavamo addosso senza sentirci, io urlavo tutta la mia emozione nel cantare, lei il suo fastidio. Immaginati la scena…
Per non parlare poi di quando siamo stati pagati a birre…a proposito, e le nostre dieci?
-Anche se l’intervista è finita?- , faccio notare.
– Certo, in fondo era un pretesto-
Rido e bevo l’ultimo sorso della mia, ormai calda.
-D’accordo, ma solo se prima mi fai mangiare un panino-
-Posso concedertelo-, dice, risistemandosi il cappello.
Sfoglio soddisfatta le pagine del taccuino appena scritte, poi chiudo tutto e mi alzo.
Seguo Filippo verso gli stand, facendomi strada tra il vociare crescente, le vibrazioni elettroniche del dj che si è impossessato del palco e l’umidità che si sprigiona dall’erba.
Dopo due passi mi ritrovo a canticchiare.
nell’alba sempre un po’ un deserto c’è, nell’alba sempre un po’ un tramonto c’è…
I Bohème Fortuna sono:
Filippo Orelli- voce, chitarra
Daniele Morici- basso
Andrea Belli- batteria
Piergiovanni Spaziani- violino