PLAYLOAD

A circa un anno di distanza dal singolo con cui hanno debuttato, come promesso, tornano questi ragazzi dal Salento con un mini album, “Complicated Human Relationships”, che riprende i vecchi pezzi e li accorpa ad altri più recenti dando alla luce questo interessantissimo lavoro di 7 tracks.
La formazione è stata peraltro rinforzata con l’ingresso delle tastiere che, come melodia portante, ha contribuito molto a evolvere l’electric sound proposto precedentemente dando alla band appoggi molto più melodici e delicati. Un contributo non da poco visto che il gruppo si lancia in un paio di occasioni (parliamo di Summer Rain e What a Surprise) in delle riuscitissime “power ballads” che mi hanno riportato con la mente agli anni 90 quando anche le band più dure e in compromissorie (Temple of the Dog, Pearl Jam, Sound Garden, ecc. ) toglievano il piede dall’accelleratore per concedersi momenti graffianti ed evocativi al tempo stesso, dando esecuzione a dei momenti ed atmosfere calde e sensazionali.
Negli altri episodi ritroviamo invece i Playload più sanguigni come nell’ attacco dinamite di Back of the Sun, la traccia di apertura, o nella già conosciuta Never Go che si è guadagnata in questo anno esatto il titolo di “cavallo di battaglia” per il suo tiro adrenalinico e per l’affluente ritmica di sonorità rock, funk e blues.
Poche parole da aggiungere per l’oscura e l’avvolgente Shape, rivista in chiave “classic” rock, dove l’utilizzo delle chitarre classiche dona un timbro più caldo e trasportante ricordando universi “trance/percettivi” delle sonorità americane anni 70 (parlo dalle atmosfere emanate da band come Doors, Ten Years After, Tim Buckley, ecc).
Affascinante anche la cupa e visionaria Eyes of Vision, dove il suono portante viene dato da dissonanze sofferte e dove una voce e un testo profondo esibiscono al massimo l’espressività e le sonorità “alienanti” della band.
Vi consigliamo vivamente di andare a gustarli anche dal vivo in quanto la band dimostra di avere tutte le carte in regola per un ottimo live d’impatto e di adrenalina!! [Read more...]

Quarto Capitolo

The Weed

Chiamatelo stoner rock, hard rock psichedelico, cattiveria allo stato brado o come meglio vi viene, questo è il genere proposto dai The Weed, band di Piacenza attiva dal 2002, che fra numerosi cambi di batterista e sfortunati episodi arriva a realizzare questa demo.

Si tratta di una miscela di melodie selvagge, riffs randagi di chitarra, la voce di una ragazza che sembra un angelo invasato e i ritmi forsennati e sincopati di batteria.

Ottima prova dei cinque ragazzi, che dentro questo “…and the evening dies” versano in modo diretto e magnificamente grezzo tutta la loro rabbia, dei testi che parlano di emozioni personali ed un pizzico di originalità, che però non dimentica la strizzatina d’occhio ai maestri del genere (bellissimo Brand New Me… che mi ricorda vagamente i primi Soundgarden o la fantastica intro di Restless…oscura ed ipnotica tanto che sembra presa in prestito da Tony Iommi, notevole anche la titletrack ). [Read more...]

All The Different Deaths… And Rebirths

Dopo il debutto a fine 2006 con l’EP fatto in casa If? Or Fades? i Nicker Hill Orchestra presentano “All The Different Deaths And Rebirths” in collaborazione con l’etichetta indipendente In The Bottle Records. Il disco segna il ritorno del post – rock Italiano da troppo tempo fermo agli anni ’90 e dimostra con convinzione che il livello artistico dei gruppi di casa nostra non ha niente da invidiare al resto del pianeta. Le due chitarre che si alternano nelle cinque lunghissime tracce di cui è composto l’album sono davvero fenomenali e trasportano l’ascoltatore in un mondo parallelo, fatto di tranquillità e di improvvisi scossoni che prima narcotizzano e poi adrenalizzano(passatemi il termine), rappresentando la sintesi degli ultimi anni di lavoro della band Veneto – Emiliana. I Nicker Hill Orchestra sono un quartetto i cui componenti provengono tutti da precedenti esperienze musicali: Diego Mantovani alla batteria, Enrico Baraldi al basso, Mattia Bonafini e Samuel Rosante alle rispettive chitarre e voci.
L’album è stato interamente registrato, mixato e prodotto dai Nicker Hill Orchestra nel Waiting Room Audio Studio di Tramuschio (MO) tra l’agosto del 2008 e il gennaio del 2009, con alcuni mix addizionali di Lorenzo Monti al Natural HeadQuarter di Ferrara e il mastering finale di Carl Saff presso Saff Mastering Studio, Chicago (U.S.A.).
Il disco è uscito a Giugno 2009, con tiratura limitata di cinquecento copie numerate a mano, art-work realizzato dalle sapienti mani di Sgnief e curato da Cikas Lab. [Read more...]

Split Ep

La storia della Smartz, che da fanzine diventa divulgatrice d.i.y. di progetti interessanti, inizia nel ’95 a Torino. Ora, spostiamo l’asse geografica e temporale, andiamo ad Ivrea nel 2002, ecco apparire all’orizzonte i Drink To Me. Giriamo ancora (la ruota o quello che più vi aggrada), andiamo questa volta ad Ancona nel ’99 e il quadro si completa con gli Edible Woman. Forse vi starete chiedendo cosa accomuna queste tre realtà e perché urge citarle tutte in un solo contesto. La risposta è presto detta. Uno split, di quelli che ormai non si producono più, arrivato fresco-fresco in 500 copie su vinile in 7” (bianco, in edizione limitata, ordinabile tramite mailorder della Smartz Records n.d.a.). Chi ne siano gli artefici ormai è sottinteso.

Due tracce a cantarne le gesta: “The end of history (America)” per gli eporediesi e “The beat goes on” per gli anconetani, due pulci entrate ben bene nell’orecchio per innescarci le dinamiche della curiosità per quel che saranno successivamente i loro rispettivi nuovi album.

Ma andiamo per ordine di assaggi. Cosa troviamo in questo antipasto? In primis, c’è da dirlo, tanta creatività, passione e voglia di inventarsi. E in cosa confluisce tale mix? Nell’episodio drinktometico si va incontro a tastiere, sintetizzatori, batterie, delay ed elettrificazioni, manipolando il tutto secondo un’aurea psichedelica ed ipnotica per poi culminare, sul finale, in un’esplosione epilogo/sfogo della tensione creata. In quello ediblewomantico, invece, ci spingiamo su lande minimali, percussioni e buona fusione delle parti ritmiche per un tiro degno di un saldo groove. Due brani quindi differenti tra loro, ma accumunati alla radice da sperimentalismi, slanci del caso e, soprattutto, dalla filosofia del percorso artistico di queste due band nostrane. E se, come sembrano presagire i tempi, anche la morte del supporto cd è ormai prossima, non perdete una delle poche occasioni per gustarvi quest’unione dalla poesia analogica dei solchi di un vinile. Ritrovarne o scoprirne il sapore potrebbe essere un emozione impagabile. [Read more...]