Autunno, tempo di fare un giro ne ‘Il bosco’, con Lorenzo Orsi

Il panorama musicale sotto le due torri riserva sempre ottime sorprese. Questa volta abbiamo fatto due chiacchiere con Lorenzo Orsi, giovane cantautore bolognese, che ha confezionato con cura un EP di cinque tracce, ‘Il bosco’, componendo la musica, scrivendo i testi e suonando tutti gli strumenti. Che dire, chapeau. Un album introspettivo dai contenuti delicati, una raccolta di emozioni e sensazioni su cui interrogarsi, alla ricerca di senso nel rapporto con se stesso e con gli altri.

Ancor prima di ascoltare l’ album, mi ha colpito molto il tuo essere polistrumentista e ‘factotum musicale’… ma per scelta o per necessità? Raccontaci come nasce un album fatto tutto da sé…
Inizialmente è stata una scelta dettata da una necessità: quella di dare voce e musica a delle emozioni profondamente personali che facevo fatica a condividere con altri. Una delle, o forse la causa scatenante della mia attività solista è stata un’esperienza che mi ha segnato profondamente, la perdita di mia madre. Il turbinio di emozioni che ho provato e provo tuttora hanno generato in me una grande inquietudine e una necessità costante di pormi delle domande e i miei testi sono le risposte: come il titolo di un cd di Vasco, sono “canzoni per me”, anche se poi mi piace tantissimo farle ascoltare e arrossisco se qualcuno le apprezza, è una gratificazione enorme. Tuttora continuo a fare tutto da solo per passione e perché trovo impagabile la soddisfazione di “costruire” una canzone: quando sono in sala di registrazione mi piace tantissimo sentire i vari strumenti che, incisi uno sull’altro, si uniscono e danno vita a qualcosa che prima era solo nella mia testa.

Dal punto di vista musicale le mie canzoni nascono grazie alla chitarra: nascono da riff che mi vengono per caso, senza che io li cerchi, mentre strimpello e improvviso. La nascita di ogni mio testo, invece, ruota attorno a una frase ad effetto, che spesso contiene anche il titolo della canzone; per il resto è simile all’assemblaggio di un puzzle: ogni giorno mi appunto su un’agenda o sul telefonino dei versi o delle rime e, quando ho accumulato un numero sufficiente di “pezzi”, li metto insieme. Quando un testo comincia a prendere forma lo “monto” su una delle musiche che ho composto. Dopodiché la mia testa diventa una sorta di mixer che contiene ed elabora ogni parte della canzone; il vantaggio di fare tutto da solo è che non sono vincolato a una sala prove e ad altri elementi di una band. E paradossalmente la parte di batteria di ogni mia canzone è quella che posso provare più facilmente: in ogni momento della giornata, infatti, le bacchette possono essere le mie dita o le posate se sto mangiando e ogni tavolo può fungere da rullante, a costo di sembrare matto.

Nella title track, il bosco, dici ‘sono andato nel bosco per ritrovare me stesso e ho trovato un altro al suo posto, molto diverso’: questo percorso di ricerca di sé, di significati,mi è sembrato di intravederlo in molte tue canzoni. E’così? c’è un filo conduttore, un’idea guida, uno sfondo comune?
Sì, sono costantemente alla ricerca di me stesso. L a canzone “il bosco”, che ne è la dimostrazione più immediata, l’ho scritta durante e in seguito a una passeggiata da solo lungo un sentiero tra i colli bolognesi, come spesso mi capita di fare, quando ho bisogno o voglia di riflettere. Ma non ho per forza bisogno di essere da solo per cercare me stesso; il rapporto e il confronto col prossimo e col mondo è uno specchio in cui si scoprono particolari di sé che altrimenti non si trovano facilmente. In questo EP lo specchio è stato talvolta il rapporto di coppia, come in “l’uomo nella coppia” e in “sentimentalmente preoccupato”. Talvolta è stato la situazione del mondo e dell’Italia in particolare, come in “GG blues”, dove ho immaginato una sorta di resurrezione di Giorgio Gaber e cosa avrebbe potuto pensare lui del paese in cui viviamo e di come è cambiato da quando se n’è andato. La ricerca di me stesso comunque non è fine a se stessa ma è un punto di partenza per puntare all’autenticità, per vivere senza essere influenzato da mode o miti, per fare ciò ch’è giusto e non ciò che conviene, come diceva Tiziano Terzani.

Prima o poi tutti ammettono di essersi avvicinati alla musica spinti dalla voglia di ‘diventare come’,’assomigliare a’…chi è il tuo ‘diventare come’?
Da quando, bambino, ho insistito coi miei genitori perché mi regalassero “Yo”, il primo album di Jovanotti, quello di “sei come la mia moto”, fino ad adesso, ho avuto vari gruppi preferiti, nessuno italiano, passando dai Queen agli Aerosmith, dai Guns n Roses ai Foo Fighters. Ma ormai da tanti anni sono due i miei “diventare come”: Dave Grohl e gli U2. Il primo, ex batterista dei Nirvana e chitarrista cantante dei Foo Fighters, per la sua ecletticità: è stato determinante nel mio voler essere polistrumentista. Gli U2 riassumono il mio modello artistico: sano rock n roll con testi stupendi, densi di significati. The Edge, il chitarrista degli U2, non lo sa ma è stato il mio più grande maestro di chitarra: l’ho ascoltato e guardato nei video ascoltandone il suono e osservandone la tecnica. Bono Vox ha scritto alcuni tra i miei testi preferiti e “I still haven’t found what I’m looking for” parla proprio di quella ricerca di se stessi. Comunque ho imparato ad avere dei modelli senza esserne influenzato: l’esperienza mi ha insegnato che tentare di imitare qualcosa o qualcuno può portare solo brutti risultati; è meglio dare libero sfogo alla propria inventiva e scoprire che musica si ha dentro.

Cosa ti aspetti da questo primo album? Hai appuntamenti live in vista?
Devo dire che ho abbassato molto le mie aspettative rispetto a tempo fa’. Nel 2007, dopo aver inciso un cd di 12 brani, ero carichissimo, ho mandato cd ovunque, sono andato a Milano a fare un giro per case discografiche. Ma mentre facevo tutto questo mi accorgevo che la musica italiana stava imboccando una strada che io non volevo percorrere: quella dei talent show. Pur rispettando chi partecipa a quelle trasmissioni, non ho ancora capito il nesso tra la musica e le telecamere televisive dei “confessionali”. Non me la sento di partecipare a simili trasmissioni perché per me equivarrebbe a perdere la dignità. Dopo la mia laurea in sociologia, grazie alla quale ho potuto conoscere le teorie di sociologia della musica di Theodor Adorno, mi sono fatto alcune idee precise dell’inganno teso dalle grandi case discografiche: ci fanno credere di poter ascoltare quello che vogliamo ascoltare, quando invece siamo costretti ad ascoltare ciò che loro vogliono farci ascoltare. Così ho ridimensionato molto le mie aspettative. Mi piacerebbe partecipare a qualche concorso in memoria di Giorgio Gaber con la mia canzone “GG blues”; inoltre sto cominciando a provare alcuni miei brani con la cover band in cui suono, i Back From Honolulu, così da proporre nei live un repertorio vario, in cui alternare canzoni famose e canzoni mie. Proprio in questi giorni stiamo organizzando alcune serate; per adesso la data più vicina è tra un mese, sabato 23 ottobre allo Slap pub di Vidiciatico, un paese dell’Appennino emiliano.

Una domanda un po’ off topic, per concludere. Molti sostengono che un album così così si può perdonare, un brutto concerto no. Cosa ne pensi? L’ultimo concerto a cui hai assistito? Ti è piaciuto o non si poteva perdonare?
In effetti per me i live sono fondamentali: gran parte del mio giudizio su una band si basa proprio sulla loro capacità di suonare live. E mi dà tristezza pensare che un adolescente qualunque che passa il suo pomeriggio davanti a MTV sia costretto a farsi delle pere di playback, crescendo con la convinzione che quella sia vera musica. Invece la vera musica resta quella sudata su un palco con gli amplificatori che sfondano le orecchie. Un aspetto negativo di suonare da solo come me è proprio il live: se non avessi la mia cover band, dovrei conciarmi come lo spazzacamino di Mary Poppins, con la grancassa sulla schiena.
Sono molto selettivo nella scelta dei concerti a cui voglio assistere: preferisco andare sul sicuro, sapendo che non rimarrò deluso. Per questo ho sempre visto pochi concerti ma buoni, tra cui uno di Vasco e due degli U2.