Intervista via e-mail ai Franklin Delano
Eccoci,
iniziamo con una domanda che può essere “di rito”: come vi siete incontrati, quando avete iniziato a suonare insieme…parlateci di voi!
P: Ho passato molti anni lontano dalla musica. Per casi apparentemente fortuiti, la musica mi è ripiombata addosso all’improvviso. Ho ricominciato a sognare di suonare, e a comporre ballate. Nell’agosto 2002 ho iniziato ad arrangiare questi brani con un batterista, Luca. In ottobre siamo riusciti a incocciare in Marcella e il progetto ha preso una forma stabile. A febbraio 2003 Luca decise che nella vita non voleva fare il batterista. In band entrò Samuele. Con lui abbiamo registrato un demo che casualmente è diventato ora il nostro album di debutto. Ma i rapporti con lui si deteriorarono già dall’estate 2003. Alla fine del tour con Sin Ropas, al suo posto è subentrata Vittoria. Stefano si era già fatto vivo, ma Samu non l’ha mai voluto in band. Ora è parte integrante dei FD: finalmente un po’ di armonia e stabilità! Adesso c’è un furgone a tre posti in vendita, spargi la voce.
V: Io, dopo lo scioglimento dei Massimo Volume, avevo perso il contatto con la musica, con il suonare dal vivo. Probabilmente rimembravo l’enorme sbattimento da fare per suonare. Mi è però bastato sentire i Franklin che tutto s’è rimesso in circolo. Li ho incontrati perché con Marci c’è un rapporto quotidiano (viviamo nella stessa città e abbiamo gli stessi amici) e conosco Paolo da anni, anche se ultimamente l’avevo perso di vista…
M: Paolo mi ha proposto di suonare con lui nell’ottobre 2002, nonostante avessi già una band con Egle, Gianluca e Salvatore del Santo Niente, non ho potuto dirgli di no. I suoi pezzi mi hanno conquistato subito e la sua determinazione non permetteva un rifiuto!!
S: Io li ho sentiti suonare la primavera scorsa a Bologna e sono rimasto molto entusiasta per la loro musica e quello che stavano facendo. Così dopo poco ci siamo messi in contatto… ed ora eccoci qua.
Per un gruppo che ha un sound così particolare come il vostro, vengono da farsi molte domande ed una in particolare emerge: da cosa traete l’ispirazione, o meglio, come vivete le vostre giornate, per poi andare ad esprimere in questo modo le vostre esigenze?
P: Ascolto musica soprattutto in viaggio. Poi però, quando resto solo con la mia chitarra e la mia voce, mi distacco apparentemente da tutto il resto. Abito in campagna e ciò mi aiuta a ritrovare lo spirito giusto. Lavoriamo molto in sala, ma tutto viene fuori in maniera naturale.
V: Io cerco di ascoltare gli altri il più possibile, in particolare i silenzi…
M: Ascolto tantissima musica, di tutti i generi e tutte le epoche e in sala prove cerco di ottenere suoni che non appartengono allo strumento che sto usando…per esempio suonare un mandolino facendolo urlare o usare una lapsteel per ottenere suoni di synth…e così via.
S: Le mie giornate ultimamente sono un pò incasinate ..ma quando siamo in sala mi abbandono il più possibile alla musica e alla situazione che si crea. Ovviamente la storia e la vita di ognuno di noi gioca un ruolo determinante nel risultato finale.
I vostri lavori sono un mix molto ben riuscito di contaminazioni americane tipicamente country e sonorità psichedeliche che ricordano tipiche bands inglesi.
Parlateci delle influenze musicali che riescono a stimolare le vostre produzioni.
P: Le mie influenze consce sono da ricercare nelle varie “scene” createsi negli ultimi venti anni negli States. Adoro le bands di Chicago, ma ci sono tantissimi artisti americani che fagocito con avidità…
V: Da sempre ascolto qualsiasi cosa possa comunicarmi qualche emozione. Ho un approccio molto emozionale alla musica (forse sentimentale…), ascolto di tutto e non ho pregiudizi. Ultimamente ad esempio ho ascoltato molto l’ultimo dei Pan American, i dischi dei Califone, l’ultimo dei Radiohead…
M: Il country ho cominciato ad ascoltarlo da pochissimo. Le influenze musicali vanno da Neil Young a David Pajo, dai This heat ai Liars, da Mingus ai Pixies. Sicuramente per i Franklin è stata fondamentale l’esistenza di gruppi come i Califone, i Red Red Meat e la loro attitudine a cercare arrangiamenti atipici, un’attitudine che ci ha insegnato ad essere “liberi!”…
S: Ah non saprei dire… veramente tante. Tutta la buona musica… forse anche quella brutta
Qual è il pezzo che amate particolarmente e perché.
P: Sono molto legato a Sounds Like Rain (ancora inedita) perché è al contempo formalmente perfetto e però violento, denso, sperimentale. Forse Question è il pezzo che più rappresenta i FD poichè ha più o meno attraversato completamente la nostra parabola, dalla prima formazione con Luca ad adesso.
V: Il mio pezzo preferito è Matter Of Time (anch’esso ancora inedito). Ovviamente non so assolutamente il perché.
M: Uhm…non ho un pezzo preferito, li amo tutti indistintamente, sia i figli difficili (quelli che bisogna riarrangiare mille volte prima che ci convincano) sia quelli che non danno problemi.
S: Forse Matter Of Time, mi distende moltissimo.
Il vostro stile non è sicuramente per tutti: chi ama la buona musica sicuramente si sofferma ad ascoltarvi per poi apprezzarvi pienamente, ma gli altri? Quelli che non riescono ad immergersi con la dovuta attenzione nella musica in genere, sono sicuramente tagliati fuori dalla vostra comunicazione; avete mai pensato a questa fascia di persone?
P: Per noi fare musica richiede uno sforzo immane. Chiediamo a chi ci ascolta di fare un piccolo sforzo: quello di stare un po’ attenti a ciò che stiamo facendo e a lasciarsi prendere dalle nostre atmosfere. Certo, chi considera la musica solo un sottofondo o al contrario un mezzo per smettere di pensare non potrà capire molto quello che sta succedendo…
V: La scelta della musica è personale. Mi dispiace per tutti coloro che non hanno voglia di farsi il loro “bagaglio” culturale, musicale e artistico in genere. Penso che la miglior risorsa per una persona sia curare il proprio spirito attraverso l’arte. Non importa che scelgano i FD. C’è da sperare che almeno scelgano qualcosa. Io oltre a fare quello che faccio non saprei come risolvere il problema.
S: A me non sembra così difficile. Tutto sommato è musica molto diretta, sincera e poco cervellotica… se a qualcuno non piace non è un problema da porsi… semplicemente sentono il bisogno di ascoltare altro
Al giorno d’oggi esistono vari mezzi di elaborazione dei suoni, sempre più spesso vengono utilizzati software casalinghi per produrli. Voi cosa utilizzate?
P: Noi abbiamo Davide, mio compagno di casa, che sta per avere a sua disposizione uno studio di registrazione vero e proprio nella stalla di casa nostra. Il primo disco è stato registrato in quella stalla, sporca e piena di ragnatele, con attrezzatura assolutamente non professionale. Il secondo demo è stato registrato sempre da Davide, nella nostra sala prove al Link, con attrezzatura molto migliore (e il risultato si sente).
V: Per me poca tecnologia. Ma è un mio limite. Spero di evolvere e riuscire a scoprire un mondo creativo nuovo grazie all’uso di un po’ di elettronica.
S: 4-traccie a nastro e da poco Pro-tools.
Spesso si parla di Web con troppa facilità, cosa ne pensate di uno strumento che permette una così vasta e celere informazione?
P: È un mezzo che ci ha aiutato molto nell’auto-promozione. Purtroppo crea anche molta confusione e pone su uno stesso livello cose che non lo sono affatto. Certo il web aiuta, a volte tanto. Ma se non c’è la sostanza, stai solo facendo inutile inquinamento semiotico… sulla lunga distanza è solo la buona musica a premiare.
Poi c’è l’aspetto del file sharing etc., su cui non ho ancora un’opinione ben precisa. Preferirei non esprimermi al riguardo.
V: In effetti il file sharing sta facendo affondare il mercato musicale. Ma forse così dovrebbe essere. La scommessa degli artisti è scoprire nuove vie, nonostante tutti gli ostacoli… io da quando scarico (un po’) di musica dal web ascolto più cose, ne ho scoperte di nuove…
M: Grazie al web possiamo pensare che Chicago sia dietro l’angolo…. per quanto riguarda il file sharing penso che la possibilità di ascoltare musica sia più importante degli interessi commerciali di chiunque…
S: Io odio internet e non mi piace starci attaccato, controllo solo la mail. Riconosco però che a volte è veramente comodo, sono d’accordo con Paolo.
Un’altra domanda che amo spesso fare: In Italia esiste un grande “sottobosco musicale” in cui molti gruppi fanno la scelta di scrivere i loro testi in Italiano. Voi cosa ne pensate?
P: A me personalmente non piace l’italiano da musicare. Adoro e mi affascina l’inglese, per la sonorità e per il modo di incastrare tra loro i concetti, per la sua fluidità. Ho vissuto due anni in Inghilterra e ciò mi aiuta molto ad apprezzarne la lingua. Ciò non toglie che ho stima di chi, come la stessa Marcella (nei Marsel-a), lavora con attenzione, gusto e dedizione a testi in italiano.
V: non potrei che essere d’accordo con lo scrivere in italiano: è la mia lingua. Oltretutto penso di aver fatto parte di un gruppo che ha contribuito ad una piccolissima rivoluzione culturale proprio facendo leva su una elevata qualità dei testi, quelli di Mimì. L’importante è dar vita ad un mondo musicalmente coerente, dove tutto sia funzionale ad un’estetica precisa, e non ci siano stonature, testi ed uso della lingua inclusi. I Franklin sono così, non potrebbero essere così se cantassero in italiano. E la stessa cosa vale per i gruppi che cantano in italiano.
M: Penso sia una scelta coraggiosa e a volte faticosa: da una parte ci si sente stretti nei confini di un paese che oltretutto non si ama particolarmente, in secondo luogo bisogna inventarsi un nuovo modo di cantare, non esistono modelli o eroi da seguire. Non c’è mai stata sperimentazione in Italia, solo bel canto oppure rock che scimmiotta i gruppi inglesi e americani. Si tratta di creare un linguaggio minore all’interno di una tradizione mummificata, si va a tentoni.
S: Per me qualsiasi scelta può funzionare, basta che sia naturale ed autentica.
Chi di voi nel gruppo è il leader, chi di voi cura i testi, le musiche e le P.R.?
V: Direi che fino ad ora i riff e le linee di canto sono di Paolo, poi viene Marcella, che mette la genialata della quale non si può più fare a meno. E poi io, manovalanza percussiva (!!!). Le PR le tiene Paolo, e va benissimo così. Io ho già ampiamente dato in precedenza, per ora. E poi mentre Paolo non riesce a stare fermo, io non vedo l’ora di poterci stare un po’, per mia natura…
M: Nessun leader, anzi una grande divisione dei compiti che sta bene a tutti, io come Vitt non amo particolarmente le PR, preferisco stare a casetta mia e suonare…
S: Neanch’io sento la presenza di un leader. Nessuno impone nulla. Sicuramente il nocciolo originario delle canzoni parte da Paolo e Marcella e sono convinto che i pezzi funzionino già molto bene così… ma il risultato finale porta ovviamente il contributo di tutti.
Quali sono i vostri progetti per il futuro?
P: Quest’estate registreremo il seguito di “All My Senses…”. Con tutta probabilità, se il budget fornitoci ce lo consentirà, andremo a trovare i Califone e lo registreremo a Chicago. In tal caso i Califone saranno ospiti nell’album. Poi c’è in forse uno split sempre con i Califone per la webzine Movimenta. L’obiettivo principale è quello di uscire dall’Italia: quindi trovare distributori ed etichette estere che ci appoggino e promoters a cui piaccia la nostra musica e abbiano voglia di organizzarci dei tour all’estero.
Un ultimo spazio per voi, per dire ciò che volete:
P: Sostenete chi per voi se lo merita, andate ai bei concerti, comprate i bei dischi. La vita per chi ha scelto di vivere la musica come una professione è durissima. Quasi nessuno riesce a tirare a fine mese, a meno che non si costringa a fare cose che non farebbe… tutto ciò è triste e ingiusto e deve finire. Sostenete le bands che vi piacciono, scartate quelle che vi non vi piacciono, semplicemente.
V: È necessario difendere con i denti la propria particolarità, questo vale per tutti. Non lasciamoci trascinare dalla noia. Stimoliamo il più possibile la nostra curiosità.