Adriano Tarullo – Sacce cu è ju bblues

Adriano Tarullo è bravo! E il suo cd, Sacce cu è ju bblues è proprio bello. Niente di trascendentale. Niente di troppo innovativo. Niente di mai sentito. Me è bello uguale.

A questo trentunenne di Scanno (in provincia de L’Aquila) piace la musica d’oltreoceano, e ce lo fa capire nei nove brani del suo disco (tutti rigorosamente in dialetto “scannese”, dico bene?).
La prima traccia, La leggenda de iu lache, è un blues veloce che ricorda vagamente i Dire Straits di Calling Elvis: un ritmo incalzante e un’armonia secca e decisa che s’infila nel cervello al massimo al secondo ascolto. Il pezzo è poi impreziosito dall’armonica americanissima di Corrado Pagliari.
Ma si continua. Arriva Lu sfratte, una parentesi (si spera ironica e giocosa) sulla colpevolezza di Eva e sulla rovina del mondo che grava esclusivamente sulla responsabilità delle donne. Arriva lo sfratto, si diceva, e con esso arrivano la fisarmonica nostalgica e un po’ romantica di Federico Di Cesare e il primo assolo di Adriano, che paga tributo ai suoni puri e cristallini dei bluesman americani (forse Eric Clapton su tutti. O no, Adriano?)Bello!
Poi, un’atra ballata romantica: Na ciambella ‘mbossa, un accorato tributo a Scanno, che al Tarullo deve piacere proprio un sacco…
Ad un certo punto, arriva una specie di Pino Daniele dell’appennino abruzzese, che con Gioventù scallata si fa trascinare da un botta e risposta voce e chitarra del quel proprio non riesce a liberarsi. Niente male.
Ma Adriano non è solo un chitarrista dotato di buon gusto, visto che si cimenta, e con discreti risultati, anche con il basso, con la batteria e con le percussioni, con la testiera e con qualcos’latro che adesso certamente mi sfugge. Il risultato è che la quasi totalità del disco se l’è suonata da solo.
Ma ritorniamo ai pezzi. E’ una ballata simil-country anche Povera fijja me, con tanto di banjo (e se lo suona da solo!) e con (ancora una volta) la fisarmonica di Federico Di Cesare, che ‘stavolta a tratti s’incastona tra le note ottonate di una tromba tarrullesca.

Il disco prosegue, a passo di folk&blues. C’è il pezzo strumentale (Ziomas blues… ed evito, per evidenti motivi, di dirvi a quale genere appartenga!). Poi c’è il country-reggae di A Erminie (il testo non è di Adriano Tarullo, ma di Ju Frijluse) e poi c’è il reggae-e-basta di Scanne bielle.

Si tratta dell’ultima traccia del disco; la più bella di tutte; la più malinconicamente arzilla della tracklist. Qui né il testo, né la musica sono del Tarullo, che forse, proprio perchè concentrato esclusivamente sulla dimensione dell’arrangiamento (o della reinterpretazione, chi lo sa?) ha dato proprio il meglio di sé, stendendo sull’ukulele in levare suonato da Corrado Pagliari un’alternanza di voce sforzata e quasi recitata, di impostazione tenorile e di “versi strani” (così li definiscono le note di copertina) e di risatine alla Eddie Murphy, che creano un interessante effetto di contrasto emotivo con la melodia che di per sé è un po’ tendente al nostalgico. Insomma un pezzo che sfiora davvero la perfezione. Peccato per quelle terzine di batteria leggermente fuori tempo; mannaggia!
Per il resto, cos’altro dire? E bravo ad Adriano… continua così!!

DarioStraits